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Credo che sia esperienza comune che quando un figlio ha un problema di abuso e dipendenza che mette a rischio la sua vita, un genitore si senta travolto. Il senso d’impotenza, nonostante si cerchi di fare tutto il possibile chiedendo aiuto a medici, istituzioni e servizi preposti, cresce fino a riempire ogni aspetto della vita di tutti i giorni. Sembra che qualsiasi direzione si prenda, qualsiasi decisione sia inutile e la frustrazione cresce e aumentano i sensi di colpa e il risentimento verso quel figlio che non capisci e che non ti senti in grado di aiutare.
La prima volta che hanno proposto a me e a mio marito di frequentare un gruppi di auto mutuo aiuto è stato in un momento in cui, pur nelle difficoltà di non riuscire ad intervenire efficacemente verso i comportamenti devianti di nostro figlio tredicenne, pensavamo ancora che fosse nostro figlio ad avere dei problemi. Pensavamo che con qualche aiuto specifico, magari un nuovo psicologo, magari una scuola diversa, magari un intervento terapeutico appropriato, avremmo potuto riuscire a riportare nostro figlio ad adottare comportamenti corretti e condurre una vita più sana e serena.
Da allora sono trascorsi quattro anni, durante i quali sono successe molte cose dolorose e veramente difficili da affrontare che hanno veramente messo in crisi l’unione della famiglia e ci hanno fatto mettere in discussione anche il significato dello stare insieme.
Il secondo contatto con l’associazione Genitori Insieme è avvenuto nel momento in cui era già maturata in noi la consapevolezza che se volevamo che nostro figlio cambiasse era necessario che anche noi modificassimo i nostri comportamenti. Da allora è cominciato il nostro percorso alla scoperta di quelle risorse che tutto ci faceva credere di non avere più o magari di non avere mai avuto visto quello che ci stava succedendo. In quel periodo qualcuno ci disse che le persone sono frutto anche delle relazioni significative instaurate nella loro vita, prima come figli e poi come genitori e sempre come persone all’interno di un contesto sociale. Da un lato sperimentavamo che spesso la fonte delle nostre frustrazioni era rappresentata proprio dall’impossibilità di incidere sul contesto sociale, sull’ambiente e sugli altri ai quali attribuivamo le maggiori responsabilità circa nostra situazione. D’altro canto sul piano personale, facevamo i conti con le nostre mancanze o i nostri errori,e c’è voluto tempo, volontà e lavoro su noi stessi e sul nostro vissuto per capire che era inutile nutrire i nostri sensi di colpa e la nostra inadeguatezza.
In seguito,dalla maggiore conoscenza di noi come persone e coppia di genitori portatori di limiti, è nata la consapevolezza che l’unica vera rivoluzione nella quale possiamo impegnarci è quella di cambiare noi stessi, per migliorare le relazioni familiari e poter sperare di incidere in concreto nella società che tanto ci delude. E allora ripensando alla mia vita, ho ricordato la storia della mia famiglia di contadini e di quanto sia sempre stato importante nei momenti difficili unire le forze, oppure di come in uno sport di squadra come la pallavolo, che ho praticato per molti anni, il valore sportivo del gruppo fosse maggiore della somma di quello dei singoli giocatori.
Così circa 18 mesi fa ho cominciato a frequentare regolarmente un gruppo di auto mutuo aiuto. Da subito mi ha favorevolmente impressionatolo stare insieme raccontando quello che ci stava succedendo, partendo dai nostri limiti in quanto genitori in difficoltà, mentre il gruppo ascoltava con partecipazione emotiva. Di come si creasse empatia per fare in modo che le nostre parole risuonassero dentro di noi così come nelle menti degli altri partecipanti, diventando un sentire comune espresso magari con parole nuove, diverse, insolite e a volte anche in contrasto con il nostro modo personale di pensare.
La mia esperienza fino ad oggi è che nello spazio e nel tempo dedicato al gruppo ci si sente accolti in una comunità di simili, spesso dopo essersi sentiti estremamente soli e ai margini della propria comunità. Si scoprono e si sperimentano nuove capacità comunicative in quanto ci si trova tra persone che non esprimono giudizi. Persone che possono capire la tua fatica, la tua difficoltà, i tuoi stati d’animo, le tue amarezze, che nel racconto richiamano le loro anche se sono state vissute in tempi lontani. Da questa comunione di sentimenti si scopre spesso di riuscire a trovare soluzioni concrete da scambiarsi e da adottare ognuno a seconda delle proprie capacità e risorse, ma anche a seconda delle caratteristiche della propria famiglia.
Nel confrontarsi con gli altri si comprende di sapere dare e ricevere e quindi si sviluppano competenze affettive e relazionali che oltre a creare all’interno del gruppo una rete di amicizia, alimentano la volontà di sperimentare anche in famiglia con il marito e con il figlio nuovi linguaggi e nuove capacità comunicative che non possono che avere influenze positive sulle dinamiche familiari. Anche per quanto riguarda le risorse della famiglia, nella mia esperienza il genitore che torna a riconoscere e ad “allenare” durante le riunioni del gruppo le proprie capacità e risorse, una volta a casa tende a cercare e a mettere in luce anche nei suoi cari le risorse che la situazione di difficoltà sembra aver cancellato influenzando così positivamente anche l’autostima degli altri membri della famiglia.
Fare parte di un gruppo per me è stato un primo passo per cominciare a superare quelli che sembravano scogli insormontabili. Nel lavoro con il gruppo apprezzo particolarmente la libertà di espressione durante gli incontri, pur all’interno di regole chiare e condivise; il ruolo del facilitatore a garanzia del fatto che i genitori riflettano e trovino da soli le soluzioni alle diverse situazioni problematiche, aiutati in questa lavoro dal contributo degli altri genitori del gruppo e apprezzo il contributo dei partecipanti nel guardare la situazione da altre angolazioni, nel consigliare il genitore, nel responsabilizzarlo delle scelte che farà riconoscendogli così le risorse e le capacità per agire.
Il risultato di un lavoro di gruppo per il quale tutti i partecipanti hanno pari responsabilità, per la mia esperienza di circa 18 mesi, si può riassumere nella sensazione del partecipante di ritornare a riconoscere in sé, delle capacità che pensava di non avere più come quella di comunicare con gli altri, dai quali prima si sentiva emarginato o si allontanava per non sentirsi giudicato; la capacità di intendere l’ascolto come un momento in cui aiutare l’altro a comprendere meglio se stesso, magari anche decidendo di non intervenire nell’espressione delle idee e delle emozioni del genitore che parla; oppure la capacità di provare empatia e di immedesimarsi nei sentimenti dell’altro. Il genitore ha modo di rafforzare la sua capacità di gestire l’ansia per riuscire a fronteggiare le situazioni stressanti, potendone parlare con gli altri del gruppo anche al di fuori delle riunioni in virtù del sistema di relazioni e di amicizia che si è creato. La frequenza del gruppo rafforza il genitore in caso di atteggiamenti adottati in famiglia a fronte di decisioni prese dopo riflessioni avvenute nel gruppo, con il risultato che, attraverso il rinforzo positivo del gruppo,il genitore ritrova nel rapporto con il figlio una funzione normativa probabilmente più efficace in quanto sostenuta da una maggiore conoscenza della propria sfera emotiva favorita durante il gruppo.
A questo punto del mio percorso credo però che la maggiore risorsa che il gruppo mi sta aiutando a riscoprire è il bisogno di un cambiamento profondo della mia vita. Credo che sia la risorsa più importante perché cambiare noi stessi è la cosa più significativa che possiamo fare per incidere, attraverso le nostre relazioni, sulla nostra famiglia e sulla nostra comunità. Un passo alla volta e consapevole dei miei limiti ma anche convinta di aver imboccato la strada giusta.