Giulio e Renzo (nomi di fantasiai) erano lì, in piedi, ben vestiti, con un mazzo di fiori in mano per la mamma, pronti ad accogliere con un bel sorriso i genitori adottivi che arrivavano dall’ltalia per prenderli e portarli per sempre con loro incontro ad una nuova vita.
Non potevamo crederci, finalmente dopo anni di trafile ed intoppi burocratici potevamo abbracciare i nostri figli che fino a quell’indimenticabile momento avevamo visto solo in fotografia.
Giulio aveva circa 5 anni e mezzo, Renzo circa 3 e mezzo. Erano rimasti solo loro perché entrambi i genitori erano mancati per malattia, prima il papà e, successivamente, anche la mamma.
Ma facciamo qualche passo indietro per inquadrare meglio tutta la storia.
Io sono medico, faccio la professione che ho sempre amato e desiderato fare fin da ragazzo e per la quale ho affrontato e superato tante fatiche e battaglie. Il mio sogno era quello di diventare medico e poter essere utile al mio prossimo, ma anche quello di avere nel contempo una famiglia generosa ed aperta ai problemi degli altri. I miei riferimenti erano sempre stati figure come il Dr. Albert Schweitzer e Raoul Follereau , che ho sempre ammirato e di cui ho imparato ad apprezzare la vita e le opere. Sono sempre stato credente, certo con momenti di luce e di buio, ma sempre consapevole che esiste un Padre buono a cui affidarci nei momenti difficili e che ci guida ed accompagna nel nostro cammino solo che noi lo vogliamo. Desideravo che il mio cammino non fosse una egoistica ricerca del mio personale benessere, ma che diventasse qualcosa di bello per me e per il mio prossimo.
Sentivo anche, come ho detto, la necessità di trovare una compagna che potesse condividere questa impostazione di vita ed ecco che la strada mia e quella di Angela si sono incrociate. In realtà sono sempre stato molto timido e abbastanza complessato ma quella ragazza, che lavorava nell’istituto di analisi dove all’inizio della mia carriera facevo il medico prelevatore, mi intrigava molto ed ero certo che, per come l’avevo conosciuta, era la persona giusta per me. Ma la paura di una “ facciata “ mi bloccava e non riuscivo a superarla.
Nel frattempo ero partito per l’Etiopia per lavorare in un ospedale missionario, il ...... Rural Hospital, e tornavo in Italia una volta all’anno per gli esami di specialità. Approfittando di uno di questi rientri, sapendo che dopo poco sarei dovuto tornare in Africa e che quindi, se mi fosse andata male sarei potuto scappare, ho trovato l”’ ardire “ di farmi avanti scoprendo che anche Angela nutriva gli stessi sentimenti e che avevo solo perso del tempo a crogiolarmi nei miei timori. Adesso il rientro a ...... risultava molto più pesante ma bisognava tornare perciò partii con l’accordo che Angela mi avrebbe raggiunto per stare un po’ con me e conoscere la realtà dell’Africa povera e malata.
Anche qui, prima di procedere, bisogna fare una parentesi per spiegare del perché mi trovassi in Etiopia a lavorare in un ospedale missionario. Come ho detto in precedenza, la mia concezione della medicina non e quella di una professione che ti consente di avere considerazione, successo e soldi ma quella di “ servizio “. Per questo quando un giorno mi è stata prospettata 1a possibilità di dare un periodo della mia vita professionale per un servizio volontario in un ospedale in Africa, anche qui dopo mille riflessioni e paure, ho deciso di accettare, ho lasciato quello che stavo facendo qui in Italia e, nel Novembre del 1983, sono finalmente partito.
L’ospedale di ..... si trova in Etiopia nella regione degli .... circa 250 chilometri a Sud di Addis Abeba ed è tuttora gestito dai Missionari della ....... tramite i quali ho fatto questa esperienza. Adesso è un Ospedale abbastanza sviluppato ma quando sono andato io, molti anni fa, era ancora molto indietro Per raggiungerlo, allora, si dovevano fare gli ultimi 20 chilometri di pista in mezzo alla savana che durante la stagione delle piogge diventava quasi impraticabile.
L’ospedale era costituito da un reparto di Medicina, un reparto di Malattie infettive, un reparto di Pediatria collegato all’Ostetricia. C’era poi il villaggio dei lebbrosi, dove erano ospitati pazienti che, per la gravità e lo stato di avanzamento della malattia, non erano più autosufficienti. In tutto un centinaio di letti ma i degenti erano molti di più perché spesso un letto, specie per i bambini, aveva più occupanti. In più ogni giorno venivano visitate in ambulatorio circa 100 — 200 persone ed io ero il solo medico insieme ad un medico francese, il Dr. ..... che però si occupava di seguire la lebbra nelle varie cliniche sparse sul territorio e quindi era quasi sempre fuori.
Qui sono stato per circa 3 anni e qui, insieme a Angela, che mi aveva raggiunto ed era stata con me circa 1 mese, è maturata la decisione di fare qualcosa per questi bambini che morivano come le mosche. L’Etiopia, che è una nazione sconfinata grande come Francia e Spagna messe insieme, allora, ma ancora adesso, era uno dei paesi più poveri del pianeta. L’ospedale di ...... è poi situato molto all’interno del territorio, ai limiti della foresta, in una regione molto bella ma anche molto povera.
Se c’è una realtà che mi è stato sempre difficile riuscire ad accettare è il vedere morire tanti bambini per malattie assolutamente curabili e per la denutrizione. Per questo, insieme con Angela, abbiamo pensato che avremmo cercato di fare qualcosa per loro.
Nel 1986 ci siamo sposati e dopo alcuni anni di assestamento abbiamo dato inizio alle pratiche per l’adozione internazionale. Non sto qui a fare la cronistoria di tutte le burocrazie che sono state necessarie per arrivare ad avere l’idoneità, dico solo che ad un certo momento, quando finalmente tutto sembrava a posto ho contattato le suore con le quali avevo lavorato a ..... dicendo che noi eravamo pronti con tutti i documenti in regola. Dopo poco tempo abbiamo avuto la notizia di 2 fratellini rimasti soli al mondo per la morte di entrambi i genitori che erano stai affidati alle Suore della ...... che a ......, una città circa 200 km a nord di Addis Abeba, gestivano un asilo e si occupavano di adozioni internazionali.
Quando tutto sembrava a posto, improvvisamente, le autorità locali hanno eccepito che, dai documenti presentati, risultavamo idonei per la adozione di un solo minore e che pertanto ci avrebbero potuto affidare uno solo dei bambini. Non volevamo assolutamente che i due fratelli venissero separati perciò abbiamo risposto che ci facessero sapere cosa dovevamo fare per poterli adottare entrambi o avremmo rinunciato. Alla fine abbiamo richiesto al tribunale dei minori l’estensione dell’idoneità a 2 minori e siamo riusciti ad ottenerla perdendo però all’incirca 7 — 8 mesi di tempo.
Eccoci quindi qui con davanti Giulio e Renzo ed il loro mazzo di fiori! Dopo circa 15 giorni, espletate le ultime pratiche, abbiamo preso l’aereo con i due bambini felici di partire con i loro genitori. Giunti all’aeroporto di Roma già c’erano gli zii della Toscana che erano venuti ad accoglierci e una volta arrivati a Genova tutto il resto della nostra numerosa famiglia che li attendeva con grande affetto. I primi tempi abbiamo cercato di stare noi genitori da soli con i bambini perché si abituassero alla nostra presenza ed al nuovo ambiente. Ma dopo poco Giulio ci ha fatto capire che avrebbero avuto piacere di andare all’asilo come facevano dalle suore. Perciò dopo neanche un mese hanno cominciato a frequentarlo. Nel giro di pochi mesi hanno imparato la lingua italiana tanto che adesso la parlano fluentemente esattamente come noi; Giulio ha pure imparato un po’ di genovese. Eravamo arrivati nel Novembre del 1995; l’anno successivo Giulio ha iniziato le elementari e Renzo ha continuato l’asilo. I primi anni sono stati bellissimi; i bambini erano sani, entrambi intelligenti, accettavano con entusiasmo tutto quanto veniva loro proposto. Tra l’altro eravamo seguiti da un’assistente sociale e da una psicologa che annualmente compilavano una relazione da inviare alle autorità etiopiche su come procedeva il cammino della nostra famiglia perché questo era stato richiesto al momento delle pratiche per l’adozione. Tali relazioni sono state fatte fino al compimento del 18° anno di età.
Nel corso del tempo insieme con la psicologa e l’assistente sociale abbiamo riscontrato una estrema chiusura di entrambi i ragazzi a parlare della situazione familiare e di come si sentissero interiormente.
Soprattutto Giulio manifestava uno spirito indipendente, si relazionava sempre con ragazzi più grandi di lui e come loro pensava di poter decidere della sua vita senza che i genitori potessero interferire in questa sua sfera privata. Sono perciò iniziati i problemi relativi agli orari di uscita e rientro a casa e così via. Fino alle elementari siamo comunque riusciti a contenerlo nei limiti di un comportamento che noi ritenevamo adeguato; Renzo da questo punto di vista ha sempre dato minori problemi; con lui la battaglia era sul rendimento scolastico perché non ha mai avuto voglia di studiare, mentre suo fratello Giulio era molto brillante e a scuola ha sempre ottenuto ottimi risultati.
Ad iniziare dalla scuola media si sono presentati seri problemi. Come avremmo scoperto solo in seguito Giulio a 12 anni ha fatto la conoscenza delle “ canne “ inizialmente in maniera sporadica.
Contemporaneamente sono cominciati i mancati rientri, il saltare la scuola e così avanti. Nonostante grandi fatiche e paure fino al compimento della terza media siamo riusciti ad avere un controllo della situazione.
Con la scuola superiore, Giulio ha frequentato un liceo, si sono presentati problemi molto più seri; il consumo delle canne è aumentato associandosi anche a consumo di alcoolici; io passavo le mie nottate a cercarlo nei vicoli per recuperarlo e portarlo a casa e di questo ha risentito profondamente la nostra e la sua vita. Mentre il primo anno del liceo Giulio era stato se non il primo della classe almeno uno dei migliori, in seconda e terza le cose sono lentamente ma inesorabilmente peggiorate fino a che in quarta è stato bocciato.
Nel frattempo in seconda liceo era scappato di casa ( lo aveva già fatto a 12 anni ma era durata solo una notte ) e per cinque giorni è stato a Milano nel quartiere malfamato di Quartoggiaro dove poi è stato ritrovato dai carabinieri che lo hanno consegnato a mio fratello, che abita a Milano e dove noi siamo andati a prenderlo la notte stessa.
Da lì le cose sono andate sempre più deteriorandosi tant’è che abbiamo preso la decisione di rivolgerci ai servizi sociali per dire che noi non sapevamo più dove sbattere la testa e che avevamo bisogno di aiuto. L’incontro con i servizi non è stato, almeno per noi, molto fortunato. Ricordo che la prima volta che ci siamo presentati ci e stato detto che bisognava presentarsi la mattina, prendere un numero ed aspettare il proprio turno, ma bisognava prendere i primi numeri altrimenti si rischiava di rimanere fuori. Non ci è sembrata la migliore delle accoglienze ma così abbiamo fatto.
Il giorno stabilito abbiamo preso il nostro numerino e abbiamo aspettato ( abbiamo poi capito che il tempo passato ad attendere in svariate sale di attesa sarebbe stato la maggior parte del tempo che noi avremmo passato ai servizi ). Finalmente siamo stati ricevuti, abbiamo esposto i nostri problemi, abbiamo avuto subito la sensazione di essere guardati come i principali responsabili d tale situazione e ci e stato detto che in una prossima riunione sarebbe stato deciso se prenderci in carico oppure no. Nel frattempo ovviamente il tempo passava e la situazione continuava a peggiorare tra sbronze, carabinieri, furti e processi.
Noi, fin dal primo manifestarsi di questa situazione, avevamo detto a Giulio che non avremmo mai accettato di assecondarlo sulla strada in cui si era messo e che pertanto o si metteva in testa di vivere una vita sana o dalla nostra casa avrebbe dovuto andarsene, per tornare quando avesse deciso di accettare le regole di una normale famiglia.
Non proseguo più nella cronistoria perché credo che potrei scrivere un libro. Ricordo solo ancora questo. Per riuscire ad ottenere che Giulio, che era ancora minorenne, fosse indirizzato verso un cammino di recupero in una comunità ho dovuto scrivere al Presidente del Tribunale dei Minori allora il Dr. ....., perché i servizi, essendo ormai Giulio prossimo ai 18 anni, avevano detto che loro non potevano più fare niente. Grazie all’intervento del Dr. ..... Giulio è stato mandato in una Comunità a ....... dove, se non altro, gli hanno fatto frequentare il quarto anno del liceo , salvo poi improvvisamente cacciarlo perché aveva ricominciato a farsi canne e a bere anche lì. Dopo alcuni altri passaggi è arrivato in un’altra comunità qui a Genova ed è riuscito a prendere il diploma di quinta anche con un discreto punteggio perché, per sua decisione, aveva deciso di limitarsi negli abusi.
Consigliati anche dagli operatori di questa comunità, poiché Giulio diceva di voler frequentare l’Università, gli abbiamo preso una stanza con un altro ragazzo, comprato il computer, pagato l’iscrizione, con il risultato che in un anno non ha dato nemmeno un esame, perché ha ripreso la sua vita di sempre, cioè vivere di notte, con tutto quello che questo comporta, e dormire di giorno.
Quando poi il padrone di casa lo ha cacciato su due piedi perché coltivava piante di cannabis sul terrazzino lui pensava o di rientrare a casa o che gli affittassimo un’altra stanza. A quel punto però noi gli abbiamo detto che non potevamo né prenderlo in casa, né prenderci la responsabilità di affittargli una stanza visti i precedenti. Da quel momento avrebbe dovuto arrangiarsi da solo e cercarci solo quando avesse voluto intraprendere un serio cammino di recupero.
Da allora Giulio ha vissuto fuori casa per circa 2 anni, trovando ospitalità da “ amici “, ma comunque in una situazione veramente difficile e precaria.
Un giorno Renzo, di cui abbiamo poco parlato ma di cui magari parleremo più a fondo in altro momento, si presenta a casa per ritirare della posta che gli era arrivata ( lui vive per conto suo, studia e lavora ) e confida a sua madre che Giulio stava molto male fisicamente e psicologicamente e che era disposto ad andarsene da Genova. A quel punto, poiché Giulio era incontattabile, ho chiamato Renzo e gli ho detto che se riusciva lui a mettersi in contatto con suo fratello gli dicesse di venire a casa a parlare con noi. La Provvidenza fa sì che quella sera stessa i due fratelli si incontrano sull’autobus. A quel punto Giulio chiama a casa e la sera stessa viene da noi.
Adesso sono quasi 4 mesi che Giulio è ospite presso una comunità e sembra stia facendo un faticoso ma valido cammino.
Nel dipanarsi di tutta questa storia abbiamo avuto la fortuna di venire a conoscenza, tramite il Tribunale dei minori, dell’esistenza dell’Associazione Genitori Insieme. Ormai la frequentiamo da molti anni e possiamo dire che è l’unico posto dove ci siamo sentiti accolti e non giudicati e dove abbiamo potuto, con l’aiuto degli altri genitori, dei facilitatori ed in particolare di ....., sviluppare le nostre strategie e attingere le forze per poterle portare a termine. Proprio per la nostra personale esperienza crediamo che questa associazione con il metodo dell’auto-mutuo-aiuto che propone sia, per i genitori in difficoltà, un presidio unico e indispensabile. I genitori riscoprono con questo metodo di avere dentro di sé le forze e le capacità per affrontare situazioni a volte molto difficili cambiando per primi se stessi e la maniera di approcciarsi ai propri figli ed ai loro problemi, sentendosi per la prima volta supportati da tanti amici e non da tanti giudici.
Per questo è nato in noi il desiderio di approfondire le tematiche dell’auto-mutuo-aiuto con la partecipazione al corso dei facilitatori e poter così aiutare altri genitori in lotta. Purtroppo però, nel frattempo, circa 2 anni e mezzo fa, Angela si è ammalata di SLA ( sclerosi laterale amiotrofica ), una grave malattia neurodegenerativa che ne limita sempre di più i movimenti. Lei, da quando si è ammalata, ha sempre offerto questa sua sofferenza per i nostri figli, e noi crediamo che la svolta improvvisa ed inaspettata che c’è stata ultimamente nella vita di Giulio e Renzo sia dovuta anche e, forse, soprattutto a questa accettazione serena e forte della malattia, pur con tutte le difficoltà ed i momenti di disperazione e dolore che tutto questo comporta.
Per questo, perché vogliamo continuare a vivere nella pienezza e nell’aiuto del nostro prossimo abbiamo deciso che io frequentassi anche per lei, con cui lo condivido, il corso dei facilitatori che abbiamo sperimentato assai valido per una maggiore conoscenza e supporto delle nostre convinzioni.
Per questo ringraziamo dell’opportunità di crescita che ci è stata data con la partecipazione a questo evento,