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Il titolo del tema voleva generalizzare l'effetto della frequentazione di un gruppo di auto-mutuo aiuto sulle coppie di genitori che lo frequentano, ma mentre stavo cercando di comporlo mi sono accorto che in realtà io sono in grado di testimoniare solo quello che è successo a me e, ovviamente con minore precisione, a mia moglie. Per quanto riguarda le altre coppie sono solo in grado di inferire qualcosa dalle parole e dal mutare degli atteggiamenti delle coppie che hanno partecipato al gruppo insieme a noi. Per questo racconterò principalmente di noi.
Nel nostro caso una coppia, che si riteneva ormai “collaudata” da lunghi anni di amore, convivenza e compartecipazione, incappata nell'esperienza di un figlio “difficile” ha buttato a mare tutte quelle che credevamo certezze assodate. È successo che il delicato equilibrio che si era stabilito fra l'amore coniugale e quello verso il figlio è stato alterato e che l'amore verso il figlio “in pericolo” abbia preso il sopravvento in entrambi.
L'angoscia nei confronti del comportamento del figlio e la diversa valutazione delle azioni da intraprendere aveva creato diffidenza nei confronti dell'altro, visto come una fonte di comportamenti disturbanti, piuttosto che come una risorsa a cui appoggiarsi per far fronte comune alla situazione .
Avevamo smesso di parlarci seriamente: quando si trattava del figlio ci facevamo in realtà “comunicazioni di servizio” il più asettiche possibile per non dare adito allo scoppio del litigio o alla barriera del mutismo. Come si dice: “camminavamo sulle uova”.
Si era instaurata una specie di paranoia: quando uno di noi due aveva occasione di stare a contatto col figlio in assenza dell'altro si sentiva chiedere nel dettaglio di cosa si era parlato in quell'occasione, e naturalmente la richiesta portava a levare immediatamente gli scudi. Entrambi, nel nostro rimuginare nelle notti insonni, schiena contro schiena, facendo finta di dormire, rianalizzavamo il passato alla ricerca di cosa potesse aver dato origine al problema, e inevitabilmente individuavamo nel comportamento dell'altro la causa, certamente involontaria, ma comunque la causa dei nostri guai.
Il figlio era stato amato troppo o troppo poco, accudito troppo o troppo poco, controllato troppo o troppo poco.
Quando finalmente approdammo al gruppo, dopo un periodo di colloqui con gli assistenti sociali dei Servizi, avevamo un complesso di colpa e una disperazione opprimenti. Nonostante i colloqui ci avessero confermato sulla correttezza di alcune nostre decisioni e ci avessero indicato dei comportamenti adeguati, ci sentivamo come l'unica famiglia disgraziata e incapace in un mondo del “mulino bianco”.
Qual'è stato l'effetto del gruppo nei nostri rapporti?
All'inizio quello di sollevarci dai nostri sensi di colpa. Anche se non vale il vecchio detto “mal comune, mezzo gaudio”, comunque il toccare con mano che non sei l'unico ad essere in una condizione angosciante e il vedere che qualcuno ha preso in mano la propria situazione e sta ottenendo dei risultati fa bene all'animo.
Poi la costante esortazione a parlare sì del figlio, sì della situazione familiare, ma soprattutto di come stai tu, di come hai vissuto un certo avvenimento, l'invito a esprimere a parole il tuo stato d'animo, e l'attenzione a far parlare entrambi i membri della coppia. E così sentivi l'altro esprimere le stesse angosce e le stesse paure. Sentivi e potevi comprendere il suo punto di vista perché era spiegato a terzi, era motivato, descriveva le emozioni che c'erano state alla base e, forse, il pudore lo depurava dal risentimento verso di te, che invece imperava nelle discussioni in famiglia.
Ma non era solo questo. Il gruppo, con le sue osservazioni, le sue richieste di approfondimento i suoi commenti alle situazioni, ti faceva vedere come apparivi agli altri, come il tuo comportamento poteva essere interpretato da chi ti circondava. E così potevi renderti conto che l'immagine mentale che ti eri costruito di te e del tuo agire era diversa da come ti percepiva chi ti stava di fronte. E potevi così capire come alcune tue manifestazioni potessero essere state travisate nella loro origine e nel loro scopo dall'altro, oltre che ovviamente dal figlio.
E così, piano piano, con l'aumento della comprensione e con lo stimolo affettuoso e compartecipe degli altri genitori, è ripreso il colloquio. Non c'era più bisogno di spiegarti all'altro, l'avevi già fatto al gruppo. Non era richiesta una capitolazione, eravamo già entrambi capitolati. C'era solo da ricostruire sulle macerie e salvare il salvabile, con forza d'animo e la consapevolezza che questo salvabile poteva essere molto, davvero molto.
Abbiamo capito che i nostri figli “difficili” hanno un sesto senso per individuare anche le minime crepe nel rapporto di coppia e ci si fiondano immediatamente, spingendo e manovrando per allargarle il più possibile. Nel loro egoismo e bisogno d'amore e devozione totale non sopportano la concorrenza di nessuno, mirano al genitore più condiscendente e cercano di stabilirci un rapporto totalizzante e asservente. Abbiamo capito che se i genitori fanno fronte comune creano un bastione contro cui i tentativi dei figli si infrangono e vengono frustrati e che queste frustrazioni sono il primo appiglio per l'azione recuperante dei genitori.
Bene, sono quindi tutte rose e fiori?
Non è così. Abbiamo visto coppie, spesso separate, i cui membri non hanno aderito all'invito a parlare di sé stessi, che hanno continuato a parlare dei fatti e ad accusare l'altro. Abbiamo visto il gruppo trasformarsi in spettatore di litigi continui. In questi casi è stato consigliato alla coppia di aderire a gruppi diversi, ma non posso dire se il proseguire della partecipazione abbia migliorato in qualche modo i rapporti fra la coppia, francamente credo di no.
Talvolta solo uno dei membri della coppia accetta di partecipare al gruppo, oppure uno dei due cessa la frequenza dopo solo pochi incontri. In questi casi ho notato che comunque l'azione del gruppo ha un effetto positivo, almeno nei confronti del comportamento nei riguardi del figlio. Infatti il gruppo considera sempre l'esistenza del partner e esorta il genitore partecipante a condividere con lui motivazioni, decisioni e comportamenti. Il gruppo lavora sul genitore partecipante, ma sta attento a non svalutare quello assente, perché è consapevole che l'azione è veramente efficace solo quando è perseguita di comune accordo da entrambi i genitori.
Bene, così sono finalmente arrivato alla fine, non sapevo cosa dire e ho visto che ho sbrodolato due pagine. Ve ne chiedo perdono.